Perché la controversia "Joseon Exorcist" fa infuriare così tanto i coreani?
PR | On 09, Apr 2021
“Joseon Exorcist” è al centro di una dura controversia nell’ultimo periodo dopo che è stato accusato di aver distorto la storia coreana utilizzando troppi riferimenti alla cultura cinese nei suoi primi episodi. Così, a causa della forte reazione del pubblico, il drama è stato cancellato dopo soli due episodi.
Anche se dal nostro punto di vista, a naso, la questione può sembrare esagerata, è il caso di approfondire il discorso per farsi un’idea precisa sulla questione. E’ giusto pensare che la reazione del pubblico coreana a “Joseon Exorcist” sia eccessiva ma solo dopo aver analizzato bene la questione e la situazione in cui questa polemica si inserisce.
Oltre ad aver inserito oggetti di scena tipicamente cinesi nel drama storico coreano, quello di cui è stato accusato il drama è anche di aver utilizzato investimenti di società cinesi per farlo.
Il drama è stato finanziato da Jiaping Korea, la filiale coreana di una compagnia cinese. Il direttore della filiale coreana, noto in Corea come Ahn Eun-Joo, nato ad Harbin, nazionalità cinese, trasferito in Corea del Sud 10 anni fa, è anche il direttore del Renmin Ribao (giornale ufficiale del Partito comunista cinese) Ufficio coreano.
Molti quindi temono che quegli oggetti non siano un caso, dimenticanza o motivo di confine, ma parte del “China-wash” che in Cina già stanno facendo da diversi mesi, con netizen e diversi gruppi che definiscono cose, cibo, abiti coreani come tipici della Cina.
Questa è, di conseguenza, una questione politica che è bene affrontare in ordine. Cos’è il “China-wash” perché i coreani percepiscono da sei mesi ormai una Cina che sta cercando di privarli dei simboli storici e tradizionali della loro cultura? Ecco le tre principali controversie degli ultimi mesi.
– Kimchi
Il Kimchi è uno dei piatti simbolo della Corea del Sud, qualcosa di integrato nelle tradizioni del paese e mangiato quotidianamente. Una parte di cinesi online nel mese di dicembre hanno affermato che i vegetali alla base del kimchi provengono tutti dal loro paese, che il kimchi è solo un’imitazione dei Pao Cai dello Sichuan (come sostenuto dalla rivista Global Times), e hanno definito i coreani dei ladri. Inoltre visto che oltre 2 milioni di tonnellate di kimchi vengono prodotte ogni anno in Cina (il 40% dei consumi coreani), il piatto è praticamente da considerarsi loro.
La questione, che potrebbe sembrare una lotta confusa su Facebook, ha avuto un forte impatto in Corea del Sud tanto che il Ministro dell’Agricoltura coreana ha parlato di ciò, rigettando le dichiarazioni dei netizen al mittente con un semplice “Non è appropriato fare rapporto senza differenziare il nostro kimchi dal paocai”. Come riportato dal New York Time, non è chiaro se questa controversia sia stata involontaria o un esempio del troll per cui il tabloid Global Times è famoso, ma comunque ha suscitato risposte da parte di funzionari e giornali sudcoreani, insieme a una sfilza di commenti duri sui social media.
La questione Kimhi, però, non esplode a dicembre dal nulla. L’ISO (Organizzazione internazionale per la standardizzazione) è l’ente abilitato a definire le linee guida per garantire che i prodotti e servizi in un paese possano essere utilizzati nei processi industriali di un altro. Analizzando la filiera del paocai, l’organizzazione ha trovato alcune lacune, precisamente la mancanza di “garanzie unificate ed esplicite di qualità e sicurezza del prodotto” e quindi ha imposto una limitazione al commercio internazionale del paocai. L’ISO ha specificato nella sua nota che queste mancanze riguardo solo il prodotto fermentato ‘paocai’ e nn il kimchi.
E’ da qui che è sorta la questione, avviata dalla rivista Global Times, che è ferocemente nazionalista, e portata avanti da molti netizen sostenitori della patria. Dato che il kimchi era accettato, potrebbe essere stata portata la retorica del ‘paocai uguale al kimchi’ e del ‘in Cina viene prodotto quasi tutto il kimchi’, forse con l’intento di far cambiare idea all’ISO.
-Hanbok
Questa controversia risale a novembre dello scorso anno e ha diversi momenti separati di scontro: in generale il discorso riguarda l’Hanbok e come questo sia, in realtà, un Hanfu, abito tradizionale cinese. La critica ha avuto diversi momenti: alcuni ballerini cinesi in un programma di intrattenimento, si sono esibiti in una danza coreana con abiti hanbok affermando che si trattasse di un elogio alla cultura cinese. Un costume del drama “Royal Feast”, criticato per essere una copia degli hanbok, è stato difeso dal produttore dello show, Yu Zheng, come un ovvio hanfu della dinastia Ming. “Solo perché è stato adattato al ‘Goryeo’, uno stato vassallo nell’era Ming, non possiamo comunque definirlo hanbok.” Goryeo era il nome del regno coreano mentre era sotto l’influenza della Dinastia Ming.
Successivamente l’attrice Kim Sohyun e la makeup artist coreana Pony hanno visto i commenti su Instagram invasi da netizen cinesi che definivano i loro vestiti non degli hanbok, ma degli Hanfu.
Per farsi un’idea chiara anche su questo punto, lasciamo a voi gli approfondimenti maggiori e vi rimandiamo ai commenti per diffonderli, ma è difficile negare che la Cina, proprio in virtù dell’influenza della Dinastia Ming e della vicinanza alla Corea, non l’abbia influenzata. E’ come sostenere che l’Inghilterra del 1500 non ha nulla in comune con la Francia: una cosa davvero difficile dati i rapporti tra i paesi e la loro vicinanza. Influenza non vuol dire creare, simile non vuol dire uguale e qualcosa nato da uno stesso principio, può arrivare a due finali ben diversi e ben distinguibili, ma questo ovviamente, già lo sapete.
L’Hanfu cinese, tipico della dinastia Ming, è formato da una gonna ampia e da una giacca incrociata di colore diverso generalmente lunga fino alla vita. Anche l’Hanbok, come struttura, è formato dalla stessa divisione. L’Hanbok ha subito delle modifiche: se a inizio 1500 la ‘giacca’ arrivava al polpaccio, dal 1600 in poi si è sempre più accorciato, arrivando nel 1900 ad essere sopra al seno (furono i giapponesi durante la loro occupazione a riportarlo sotto il seno). Inoltre il termine cinese Hanfu è un termine cappello che raccoglie molti stile diversi tipici dell’era Ming in Cina.
La verità molto probabilmente è nel mezzo: nessuno ha copiato l’altro, ma ognuno ha interpretato uno stile in modo proprio. Hanbok e Hanfu, così come Kimono e Ao Dai sono simili tra loro perché tutti e quattro sono stati abiti tradizionali che si sono influenzati.
-Taegeuk, la bandiera coreana
In uno show a quiz in TV la domanda aveva come protagonista la bandiera Taegeuki, bandiera coreana che rappresenta i reali della dinastia Joseon e che è nata proprio in quel periodo, tutt’ora utilizzata e che ha influenzato anche l’attuale bandiera ufficiale della Corea del Sud. Il penultimo imperatore della Corea progettò la bandiera nazionale sulla base dei disegni più antichi delle bandiere del monarca, nello show, però, la risposta corretta al quiz ‘Chi ha disegnato la bandiera nazionale coreana?’ era il cinese ‘Ma Jianzhong’.
Piccolo estratto della storia della bandiera coreana. Verso la fine del XIX secolo la bandiera di Taegeuk, composta da vortici blu e rossi che formano il segno yinyang, fu adottata come bandiera nazionale dal Regno di Corea. Prima di allora, il Regno coreano usava una bandiera gialla bordata di rosso con un drago orientale nero con nuvole (1856) e una bandiera blu bordata di rosso con drago giallo orientale (1876). Queste bandiere con i draghi erano fortemente influenzate dalla bandiera cinese.
Nel 1876, l’assenza di una bandiera nazionale divenne un problema per la Corea, all’epoca regnata dalla dinastia Joseon: al tempo solo il re aveva il suo stendardo reale e la mancanza di una bandiera nazionale divenne un problema durante i negoziati per il Trattato Giappone-Corea del 1876, quando la dinastia Joseon non aveva un simbolo nazionale da esibire davanti alle altre potenze coinvolte. Tra il 1880 e il 1882, la necessità diventò pressante.
Cosa c’entra Ma Jianzhong in tutto questo?
Durante il Trattato Stati Uniti-Corea del 1882, l’emissario statunitense Robert Wilson Shufeldt suggerì alla Corea di scegliere una bandiera nazionale per rappresentare la sua sovranità. Il re di Joseon, Kojong, ordinò ai funzionari governativi Sin Heon e Kim Hong-jip di iniziare a lavorare su una nuova bandiera. Kim Hong-jip a sua volta lo chiese al delegato Lee Eung-jun che a sua volta si affidò al funzionario cinese Ma Jianzhong.
Non è ben chiaro se Ma Jianzhong respinse l’idea o Lee Eung-jun, ma la bandiera della dinastia Qing col drago fu esclusa. Ma Jianzhong suggerì la bandiera Taegeuk e Bagua e ognuno dei due apportò delle modifiche per presentare due progetti diversi. Kim Hong-jip ha proposto di cambiare il rosso in blu e bianco; Ma Jianzhong ha proposto un campo bianco, un Taegeuk rosso e nero, otto trigrammi neri e un bordo rosso.
Il 2 ottobre 1882 con il re Kojong nasce la bandiera coreana, la Taegukgi, una bandiera con un Taegeuk rosso e blu e quattro trigrammi. E’ evidente che né l’idea di Kim Hong-jip né quella di Ma Jianzhong sono state presa, ma sono state unite per creare qualcosa di diverso.
E’ in questo complesso quadro che si è sviluppata questa polemica, potete essere d’accordo o meno con una o l’altra parte, ma l’unica cosa certa è che persone che hanno lavorato duramente a quel drama non vedranno mai la luce e, forse, anche gran parte dei loro stipendi. Non parliamo solo di attori, ma anche e soprattutto di staff, tecnici, parrucchieri, estetiste, catering ecc. Nella logica del ‘cancelliamo’, purtroppo, non ne esce mai nessuno vincitore. Voi cosa ne pensate?
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