'Il lato oscuro del K-pop', ossia la visione orribile puntualmente proposta dai media: perché?
PR | On 19, Lug 2020
Digitare ‘Dark side of Kpop’ su un motore di ricerca genera pagine pagine di articoli di testate internazionali che descrivono tutto lo sporco dietro la finta facciata perfetta del K-pop. Più il fenomeno diventa globale, più ogni questione problematica rimbalza nelle riviste e nei giornali internazionali.
Inutile negare che anche nel K-pop vi siano lati oscuri e cose negative che vanno aggiustate, ma davvero è l’unica industria ad avere dei problemi? Davvero è tutta così problematica e negativa come viene continuamente sottolineato dai media?
Per coloro che non ascoltano K-pop, il genere è finto, troppo studiato, problematico nella sua struttura e nel modo in cui tratta i propri artisti, che, in realtà, raramente vengono giudicati davvero artisti. Quando una testata internazionale parla del Kpop, a fine articolo trovate nel 70% dei casi il riferimento al suicidio di Sulli o Jonghyun o allo scandalo di T.O.P o Seungri, a voler spingere, sempre, sull’idea del ‘lato oscuro del K-pop’. Allo stesso modo in qualsiasi servizio su uno scandalo avvenuto in Corea del Sud, ci sono sempre, scritti nel titolo o come immagine, i BTS, solo come clickbait.
E’ evidente che chi non riesce a comprendere perché il Kpop piaccia da 20 anni ormai e non sembra diminuire la sua popolarità, non faccia che nascondersi dietro ad assunzioni pigre come “il lato oscuro del K-pop” per evitare di capire una realtà più complessa.
“Ci sono sistematici e terribili problemi nel sistema di training degli idol, penso che ci sia un ‘lato oscuro’ nel K-pop, ma dire ‘quella cosa ha un lato oscuro’ è come dire ‘l’acqua è bagnata’. Non sto provando a minimizzare le critiche, ma la semplificazione e la generalizzazione del concetto ‘lato oscuro del K-pop’ mostra che c’è un problema nel modo in cui i media occidentali percepiscono questa nuova cultura asiatica che diviene mainstream.” (Giornalista Freelance – Kang Haeryun)
L’obiettivo delle varie analisi del K-pop è quello di dimostrare che il genere si pone l’obiettivo di dimostrarsi perfetto, creando il fascino della perfezione capace di vendere e conquistare le menti più giovani.
Questa visione tende a immagine le fan come essere non pensanti che seguono ciecamente il loro idol, quando, in realtà, la forza nel k-pop è proprio nel legame, spesso affettivo, che lega al gruppo e alle altre fan. Seguire un gruppo vuol dire far parte di un fandom, identificato da un nome, con canali dedicati dove sentirsi parte di un qualcosa più grande. Non è semplicemente ‘Seguo quel gruppo perché sogno di sposarmi con quell’idol’ come la maggior parte delle persone esterne al K-pop immagina, anche se c’è una parte di fan che potrebbe anche pensarlo, per molti far parte di un fandom è un’esperienza emotiva e mentale. Come dice anche Steve Aoki, noto produttore che ha lavorato anche con BTS e MONSTA X, il successo nel k-pop è basato sulla connessione umana, sul creare una comunità dove i fan riescono ad esprimersi liberamente.
Anche l’immagine, spesso promossa dai media, dell’idol che deve essere perfetto e che non può bere, drogarsi o essere fidanzato, è in realtà messa in discussione dalla realtà degli ultimi anni: adesso ci sono video di MONSTA X, BTS o MAMAMOO che bevono tranquillamente e parlano con i fan (gli idol spesso sono volti e modelli per soju e birre, anche perché c’è una determinata cultura del bere in Corea del Sud che viene puntualmente dimenticata), così come sempre più coppie di idol annunciano di stare insieme o di avere delle relazioni (il dating ban ormai, in generale, dura solo qualche anno). La rigidità di 10, 5 anni fa, sta diminuendo con il passare del tempo e proporre, ancora oggi, determinati concetti come se fosse verità assoluta e diffusa ovunque, è sbagliato.
Tutto questo discorso assume contorni ancora più confusi se si pensa a come, anche a livello internazionale, tutti i fan sono a conoscenza e criticano gli aspetti negativi del sistema di training, della gestione degli idol, la pressione e, spesso, il sovraccarico di lavoro. Quando l’agenzia delle MAMAMOO, nel 2018, voleva tenere un concerto quindici giorni dopo il comeback con il mini-album ‘BLUE’S’, i fan hanno boicottato e fatto annullare tutto perché le schedule delle ragazze erano troppo piene e insostenibili per loro.
Accanto ai fan che sono bene a conoscenza di tutti i lati, luminosi e bui, del kpop e delle persone che supportano, anche gli idol stanno diventando sempre più aperti a determinati discorsi su problemi mentali, attacchi di panico, stress, depressione.
Proprio parlando di questo discorso, il modo in cui i media occidentali hanno parlato dei suicidi di Jonghyun degli SHINee, di Sulli o di Goo Hara, ha spesso semplificato e generalizzato, facendo indirettamente cadere la responsabilità dell’accaduto alle agenzie e, in generale, al K-pop stesso. Ovviamente, un fan, con le sue scarse conoscenze di chi li ha seguiti solo su un palco o sui social network, già sa che vi sono stati molti più problemi: i casi di Sulli e Hara sono anche collegati a quello che le due ragazze hanno dovuto affrontare negli ultimi anni e alle offese ricevute da una società misogina come quella coreana, ma anche internazionale. Quando si parla di questi casi, non si può omettere il fatto che la Corea del Sud è uno dei paesi con il più alto tasso di suicidio in assoluto.
Kang Haeryun approfondisce anche la questione sul suo account Twitter: “Sono recentemente apparsa in un documentario-inchiesta (n.b. VICE Investigates) […] ho visto il trailer oggi e sono rimasta delusa dalla narrazione del “Dark Side of K-pop” che sembra seguire, pubblicata da così tante volte dai media occidentali. Il documento menziona anche “il lato umano raramente visto delle rockstar del K-Pop”, che è insultantemente orientalista. Durante l’intervista li avevo messi in guardia dal caratterizzare la gentilezza delle star del K-pop come disumane, solo basandosi su quello visto negli spettacoli di varietà coreani, perché l’atteggiamento di celebrità è diverso in culture diverse. Che cos’è “disumano”?”
“La cortesia è imposta dalle agenzie perché è vista come una virtù nella società coreana. È quello che si aspetta e che piace nelle celebrità. Proprio come “Non me ne frega un ca**o di te” è una sorta di mentalità che piace e che viene accettata più comunemente negli Stati Uniti. Ancora una volta, queste sono generalità con molte eccezioni. Ad esempio Justin Bieber che fa uso di droghe pesanti o viene arrestato è più perdonato e accettato negli Stati Uniti che in Corea. Questo non verrebbe mai accettato in Corea. Ma devo ancora vedere un articolo coreano su “The Dark Side of Western Pop” […] Sì, ci sono lati oscuri nel K-pop, ovvio. Ma questa non dovrebbe essere il modo di approcciare tutti i diversi problemi che accadono alle star nel K-pop, come successo puntualmente alla morte di Sulli e Goo Hara. […] “Dark side of K-pop”: chiederesti la stessa cosa a una persona che lavora ad Hollywood e parando del pop americano? O forse questo è orientalismo?“ conclude Kang Haeryun.
“Il sistema di gestione K-pop è stato tutt’altro che perfetto in passato”, ha dichiarato Bernie Cho, presidente di DFSB Kollective, un’agenzia specializzata nell’esportazione di musica coreana. ‘Insieme al potere dei fan esperti di social media e all’influenza degli investitori in borsa, i giorni di un prepotente, eccessivo controllo e sfruttamento eccessivo delle situazioni di gestione del K-pop stanno diventando sempre meno la regola e più l’eccezione.’
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